Tito
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«Non è un caso che Tito Andronico, la prima tragedia scritta da Shakespeare, sia la sua opera più cruenta, sanguinaria e violenta, ciò è dovuto oltre che alla giovane età dell’autore, alla consapevolezza che questi ingredienti all’epoca elisabettina esercitassero grande fascino sul pubblico […]. Le cose oggi come allora non sono tanto cambiate. Potremmo dire che Tito Andronico sia l’equivalente di un film splatter dei nostri tempi, il linguaggio e la drammaturgia sono chiaramente più alti, ma l’obbiettivo di fondo è lo stesso. Nella riscrittura di Santeramo, smussando il carattere epico dell’opera e abbandonandone quello tragico per trasferirlo nel registro del drammatico, nel quale il pubblico di oggi ha più strumenti per riconoscersi, Tito Andronico diventa più semplicemente Tito, l’antieroe Tito. Tito padre di famiglia, di figli immaturi ed acerbi, Tito oberato dal peso della responsabilità. Tito uomo. Un uomo alla ricerca della normalità. Vorrebbe ascoltare musica, leggere un libro, starsene in pantofole. Tito alla ricerca della pace. Ma c’è pace se la guerra è altrove? Ed è in questa pace apparente, fra le mura casalinghe che il sangue continua a scorrere mentre si consuma la vendetta dei suoi vecchi nemici. A questo punto il Tito di Shakespeare si ribella a quello di Santeramo, la normalità desiderata diventa la causa della tragedia che si fa di nuovo viva sul finale, quando Tito dovrà, suo malgrado, vendicarsi e rispondere al ruolo cui è destinato. […] Ed è questa un’altra delle chiavi di questa messinscena, ovvero la consapevolezza sempre chiara e presente negli attori di star recitando una tragedia. Non con un esplicito dentrofuori, […] in cui il piano della realtà e della finzione si intrecciano e confondono continuamente».

Tito
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